Maria Grazia - Patrizia Colaianni

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Maria Grazia

MARIA GRAZIA
Racconto di COLAIANNI PATRIZIA


Essere madri è un dono.
***
Ero una stella nel cielo, quando mia madre decise che voleva una bambina.
E qui inizia la mia storia.
Ma prima ancora è la storia della maternità di mia madre.
Mia madre si chiama Maria Grazia ed è siciliana, come mio padre.
Dopo ventisette anni di lavoro al Nord Italia, come maestra elementare, è tornata da sola, senza marito né figlia, nei suoi luoghi natii. La sua Sciacca le mancava, ma i suoi genitori, ormai anziani, non ci sono più.
Purtroppo, la vita finisce come tutto quanto ci circonda. Ogni cosa ha un termine, tranne l’amore per una figlia. Almeno così dice mia madre. Certo è che sono stata desiderata.
Volevo che mi raccontasse come ha vissuto la sua maternità e lei mi ha scritto dei pensieri profondi. Così è riportato nella sua lettera:
“Una donna si realizza in due modi: con il lavoro e con la maternità”…
“Desideravo diventare mamma per realizzarmi come donna e mettere in pratica l’innato senso materno che c’era in me da giovanissima e volevo una bambina perché in lei avrei rivisto me e pensavo di darle molto di più di quello che avevo avuto io”.
E ancora è scritto nella lettera di mia madre:
“Ho voluto questa figlia per avere un vero affetto, dopo quello dei genitori, che nessuno mi poteva togliere”.
“Da un marito ci si può separare, ma da una figlia non ci si separa mai, neanche se si è separati fisicamente, nel cuore e nella mente si è sempre vicini e l’affetto nessuno può mai estinguerlo e durerà fino alla morte”. Ora, io e mia madre, siamo lontane: lei è in Sicilia e io abito in Lombardia con mio padre, per lavorare. In realtà, il nostro è, a volte, un rapporto conflittuale.
Ma, ritornando alla lettera di mia madre, vorrei citare altri passi:
“E’ stata grande la gioia provata quando ho saputo di essere in stato interessante. Durante i nove mesi di gestazione ero al settimo cielo perché portavo in grembo la mia creatura”.
                                                                  
“Pensavo che per mia figlia avrei rinunciato ai divertimenti, alle feste per starle vicino e non lasciarla nelle mani di nessuno perché meglio di me nessuno l’avrebbe trattata”.
E’ vero, infatti, crescendo mi sono accorta che, pur conflittuale che sia, sempre senza esagerare, è meglio il rapporto con i genitori che mi hanno messa al mondo.
A tre anni mi sono ritrovata in Lombardia, per via del lavoro dei miei genitori. Tutti gli anni andavamo in vacanza nel Veneto.
In me il senso materno non è sviluppato come quello di mia madre, che cita nella sua lettera indirizzata a me:
“Pensavo di rinunciare ai vestiti e agli sfarzi per non fare mancare niente alla mia creatura. Man mano che il feto si sviluppava nel grembo materno, il mio fisico si trasformava per questa nuova vita che sbocciava dentro di me. Man mano che passava il malessere fisico avvertivo la gioia di avere una creatura dentro di me a cui davo nutrimento e vita”.
La maternità, per me, è plasmare una nuova vita, un piccolo essere umano che, una volta nutrito ed educato, diventerà un’anima piena di spirito e non solo di fisicità.
Gli antichi dicevano sempre “mente sana in corpo sano”; e anche l’anima e lo spirito hanno un loro posto tra la mente e il corpo.
Negare la maternità è come negare il rinnovarsi della vita. Se non ci fosse più vita sulla Terra, cosa succederebbe di questo nostro mondo? Solo guerre, probabilmente.
La maternità è amore, prima e dopo il concepimento e amore nel far nascere e crescere il piccolo dell’uomo.
Anche gli animali fanno nascere i loro cuccioli, le loro creature con amore e con cure materne.
E dopo la vita, c’è la morte: è il ciclo vitale della Natura, del mondo. C’è da rassegnarsi: si nasce soli e si muore soli.
La mia mamma ricorda con gioia i preparativi per comprare il corredino e nel suo cuore desiderava una femmina. Ed è stata esaudita. Una volta sola, però. E mi sognava, già.
“Ma quando è nata mi è apparsa ancora più bella di quella bambina che avevo visto in sogno.
Man mano che si avvicinava la data del parto ero preoccupata perché desideravo che tutto andasse bene per me e per la creatura e, soprattutto, che fosse sana, senza difetti né malattie. Finalmente, una notte la rottura delle acque mi preannunciava che era arrivato il momento: l’emozione ed anche un po’di paura mi assillavano, ma la felicità di diventare mamma e di vedere in faccia la mia bambina e poterla tenere in braccio e coccolarla era più grande di qualsiasi timore. E’ stata tanta la gioia quando ho visto la mia creatura che aveva un visino da bambolina, era bionda, con gli occhi azzurri e nel guardarla mi sono commossa. Finalmente ero mamma, mi aspettava tanto lavoro, responsabilità, rinunce e sacrifici, ma ero contenta: avevo un affetto tutto mio”.
Mia madre continua nella sua lettera: “Ricordo con emozione il primo dentino, i primi passi, la prima parola: mamma. Io la volevo sempre sana per non farla soffrire”.
Ecco il tema della sofferenza.
Quando non si è più infanti e si cerca, da adolescenti, di farsi spazio nel mondo, che può essere anche inizialmente il piccolo mondo della scuola, cominciano i rapporti con gli altri e la sofferenza. La sofferenza è a vari livelli, ma se abbiamo la fortuna di trovare chi ci consola, è dimezzata.
A un anno ho spento la mia prima candelina con le dita e ho pianto, ricorda bene mia mamma ed una foto attesta il fatto.
Ci sono pianti nella vita che si possono evitare ed altri che non si possono neppure prevedere e bisogna accettarli perché anche la sofferenza fa parte della nostra vita.
“Un figlio è un amore vero, sincero e duraturo nel tempo. Sono stata una mamma molto attenta, apprensiva e desiderosa che a mia figlia non mancasse niente e che non le succedesse niente”.
La mia mamma conclude così la sua missiva a me ed io spero che non siano solo lontani ricordi di un tempo che fu…E che l’ansia ci accompagni, ma in maniera discreta!
Patrizia Colaianni
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